
Sessualità e Disabilità: Verso una visione più sex positive e inclusiva
-“Dottore, dottore! Guardo troppi porno! Secondo lei è un problema?”
-“Beh, dipende… Che vuol dire “troppi” secondo lei?”
-“Troppi, cioè… vuol dire che mi masturbo tanto… Guardo porno 3-4 volte al giorno e spesso mi masturbo. A volte capita di meno, a volte di più… E voglio capire se questo è un problema.”
-“Il punto non è quante volte lo fai, ma come ti fa sentire e quanto questo ti crea disagio. Chiediti come te lo vivi e soprattutto quanto ti impedisce di fare altre attività durante la giornata come lavorare, avere relazioni sociali o prenderti cura di te stesso.”
Vi farebbe qualche differenza se vi dicessi che questa conversazione l’ho avuta con una persona che vive con una disabilità motoria e cognitiva? Io non credo… Perché queste domande sono le stesse che spesso tutt* si fanno sul sesso, allora perché il fatto di vivere con una disabilità dovrebbe fare la differenza? E la fa… Ma non nel modo in cui molte persone pensano. Se avete voglia di mettere in discussione qualche vostra falsa credenza, continuate a leggere questo articolo.
La sessualità è un aspetto centrale nelle nostre vite a prescindere da quanto sesso facciamo (e dalla frequenza). Essa è infatti uno degli elementi che definiscono la nostra identità come individui, le relazioni che abbiamo con gli altri e inoltre rappresenta uno strumento valido e positivo con cui esprimere noi stessi. Esplorare i corpi, le emozioni e le relazioni può essere come andare sulle montagne russe, un’esperienza adrenalinica che genera anche confusione e paura, sentirsi insicuri è quindi parte fisiologica del percorso; scoprirla piano piano, ascoltandoci e accettandoci, può in questo senso rivelarsi un'esperienza liberatoria, eccitante e positiva.
Questo discorso non vale solo per i più giovani che abitano corpi abili e funzionali ma tutte le persone: la sessualità si evolve con noi, arricchendosi di sfumature man a mano che accumuliamo nuove esperienze. Gran parte del percorso con la propria sessualità riguarda il capire che non esistono “giusto” o “sbagliato” in senso assoluto in quello che proviamo o che ci attrae, piuttosto si tratta di diventare più consapevoli di ciò che sentiamo, riconoscere cosa è più giusto per noi e per le persone a cui teniamo.
Eppure, quando si parla di persone che vivono con qualche tipo di disabilità, il discorso diventa spesso pieno di tabù e pregiudizi.
Fra i falsi miti più diffusi che riguardano le persone che vivono con disabilità vi è il fatto di essere individui asessuali, cioè di non avere stimoli o desideri sessuali. Questo è un pregiudizio che porta a negare il diritto di vivere esperienze affettive e sessuali soddisfacenti solamente perché la nostra cultura decide che alcuni individui debbano esserne esclusi. Chi vive a stretto contatto con persone che hanno una neurodiversità o delle limitazioni sensoriali e motorie sa bene quanto
questo mito sia lontano dalla realtà e anzi possiamo affermare con certezza che la maggior parte delle persone è interessata a questa dimensione.
Una persona che vive con una disabilità ha una barriera aggiuntiva quando prova a vivere la propria intimità, da sola o in compagnia: il giudizio e l’auto-giudizio spesso bloccano e fanno sentire sbagliati dando luogo a sensi di colpa e emozioni spiacevoli.
Non potrò mai dimenticare quando qualche anno fa, durante lo svolgimento di una ricerca, ho sentito tuonare la voce di una ragazza sulla trentina su una sedia a rotelle affermare a gran voce il suo diritto e il suo piacere nel fare sesso occasionale con altre donne. Apriti cielo! Non solo stiamo parlando di una donna che afferma la sua libertà e il suo piacere ma stiamo ascoltando una
persona paraplegica lesbica dichiarare che fa sesso occasionale, la cosa bella è che non c'è niente di più umano e valido!
Il focus primario della nostra società è quasi esclusivamente legato agli aspetti assistenziali e medici della disabilità, trattando la persona come un pezzo rotto da riparare e, laddove questo non sia possibile, renderla il più innocua possibile. Forse questa è un’espressione un po’ iperbolica, ma la realtà non è molto lontana da questa visione soprattutto in alcuni contesti dove fatica ad entrare la sensibilità verso certi temi e dove la parola “disabilità” ha più rilevanza della parola “persona”.
Negli ultimi anni la situazione sta lentamente migliorando grazie anche alla maggiore visibilità che i media stanno dando alle varie forme di disabilità e soprattutto alle persone che le abitano, ma la strada è ancora lunga: l'invisibilità contribuisce a creare e a mantenere un circolo vizioso di isolamento e disinformazione che rende intollerabile la condizione di vita di molte persone. È
importante che passi il messaggio che la sessualità appartiene a tutt* noi a prescindere dalle condizioni e dai corpi con cui ne facciamo esperienza, anche perché rappresenta l'elemento in cui c'è la più alta variabilità e fluidità di desideri, emozioni e bisogni… insomma un terreno fertile e perfetto per muoverci seguendo le regole del rispetto: il consenso.
Il diritto all'intimità e alla sessualità per le persone che vivono con disabilità è stato negli anni riconosciuto da varie istituzioni internazionali ma tuttavia, nella pratica, numerosi ostacoli impediscono l'esercizio di questi diritti umani fondamentali. La mancanza di educazione sessuale inclusiva, il rifiuto di fornire supporto in contesti istituzionali e la carenza di spazi sicuri per l'esplorazione della sessualità sono gli elementi che più impediscono un’evoluzione della qualità della vita di queste persone.
Senza educazione sessuale a 360 gradi, supporto istituzionale e spazi sicuri è difficile pensare al riconoscimento di figure specifiche di supporto come l’assistenza sessuale, uno degli aspetti più dibattuti per garantire un accesso inclusivo alla sessualità e all’intimità. Già presente in alcuni paesi europei come Svizzera, Olanda e Germania, essa prevede il supporto da parte di professionisti formati per facilitare esperienze intime e sessuali alle persone con disabilità; in Italia il dibattito è ancora aperto oscillando tra posizioni contrastanti, tra chi vede la come un'opportunità di autodeterminazione e chi la considera una forma di mercificazione del corpo. In ogni caso l’assistenza sessuale, seppur fornendo un’alternativa utile in molti casi, non esaurisce il dibattito sull’inclusività dato che purtroppo vi sono barriere molto più pervasive e subdole che limitano l'accesso alla sessualità. Le barriere interne includono il senso di vergogna, la mancanza di
autostima e la paura del giudizio sociale, spesso interiorizzati a causa della narrazione negativa sulla sessualità. Tutto questo si unisce ad esperienze sul campo altrettanto insoddisfacenti, spesso oggettificanti e negative. Per quanto riguarda gli ostacoli esterni essi comprendono la scarsa accessibilità fisica e digitale a contenuti educativi sulla sessualità, il controllo esercitato da familiari o caregiver, l'assenza di supporti adeguati nelle strutture sanitarie e assistenziali (ad esempio stanze dell’intimità, le cosiddette “allowing-rooms”). Come si affronta però tutto ciò? Come facciamo a dar voce a chi desidera avere un’esperienza più positiva con la propria intimità?
Una possibile soluzione è quella di adottare una prospettiva più sex-positive, questo significa riconoscere che la sessualità, in tutte le sue forme consensuali, è un elemento positivo della vita e che ogni individuo ha diritto a esplorarla senza stigma o discriminazione. Per raggiungere questo obiettivo è fondamentale partire dalle basi promuovendo un’educazione sessuale più inclusiva per tutti, che sia capace di riflettere sulle specificità di ognuno in termine di bisogni e di barriere che alcuni di noi possono incontrare in questo percorso; in questo senso, una formazione ad hoc deve essere rivolta anche e soprattutto a caregiver e operatori sanitari. Fondamentale è anche sensibilizzare la società per superare i tabù e modificare la percezione della sessualità e dei corpi, garantendo l'accessibilità a spazi e servizi che favoriscano l'autonomia sessuale, cioè la possibilità di scegliere per se stess* come esprimere la propria sessualità. Altro elemento decisivo è riconoscere e regolamentare il ruolo di assistenti sessuali come una risorsa etica e professionale a disposizione delle persone che decidono liberamente di farvi ricorso.
Solo attraverso un cambiamento culturale e normativo si potranno creare finalmente le condizioni per una società realmente inclusiva, in cui ogni persona possa vivere la propria sessualità con dignità, libertà e maggiore soddisfazione.
Dott. Filippo Maria Nimbi